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Il dialetto è una lingua viva? In certi casi sì, in altri no. Il dialetto è vivo se permette di esprimere concetti e situazioni nuove e, quindi, sta al passo con l’evoluzione della società nella quale è parlato.
Parlando del dialetto “quasi romagnolo” di Roberto Ramoscelli, possiamo identificare un nucleo linguistico legato alla cultura agricola della quale era espressione, con la ricchezza lessicale, di metafore e di modi di dire che ne derivava; questo “fondo” linguistico può servire a ripetere modelli e luoghi letterari della tradizione, ma non è detto che sia solo così.
Nei versi di questa raccolta, seguendo e ampliando una tendenza presente anche nei precedenti La qualite’ de le’gn e Pašaden e capaltéz, assistiamo all’evoluzione del dialetto, alla sua, per così dire, “mutazione vitale”: troviamo termini come telefuné (telefono cellulare), ciave’ta (chiavetta per la connessione Internet); c’è l’intento, ben riuscito, di trattare argomenti d’attualità mantenendo vivo lo spirito della parlata dialettale; non mancano infine riflessioni filosofiche e storiche, dove abbondano i neologismi dialettali mutuati dal linguaggio specialistico di ciascuna disciplina.
Una parlata è vitale se riesce a descrivere i sentimenti, i concetti e gli oggetti di chi la usa; Ramoscelli, nelle sue poesie, ha raggiunto questo obiettivo, ci parla del passato e del presente, commenta e illustra le sue idee senza farci sentire il sapore di “vecchio” dal suo dialetto “quasi romagnolo”. (Fabrizio Tampieri)
Informazioni aggiuntive
Dimensioni | 15 × 21 cm |
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Confezione | brossura e copertina con bandelle |